Qualche volta, si sa, noi giornalisti scriviamo sulla fiducia. È successo anche a me la settimana scorsa, intervistando, su Metro di lunedì 18 novembre (leggi qui), Mitzi Amoroso (sotto, la foto di Andrea Polo). Conoscevo la sua storia di cantautrice, poi di fondatrice delle “Mele Verdi” e di vincitrice di Zecchini e Ambrogini d’oro, sapevo anche, e soprattutto, della sigla di Barbapapà fatta con Roberto Vecchioni. Non avevo mai toccato con mano, però, il suo ultimo capolavoro, di cui pure mi accingevo a scrivere: il musical che la grande Mitzi allestisce con i bambini al “Teatro” Wagner, una confortevole e accogliente sala parrocchiale da duecento posti nell’omonima piazza milanese. La signora Mitzi mi pregava, quasi mi supplicava, concedendomi l’intervista: «Sì, d’accordo. Lei però venga a vedere lo spettacolo, me lo prometta!».
L’ho fatto. Promessa mantenuta. Ma questa non è una
recensione, una di quelle che Mitzi, come d’ora in avanti, amichevolmente, la
chiamerò, pur avendole sempre dato del lei, vorrebbe («In tanti scrivono dei
miei spettacoli, ma vorrei tanto che qualcuno li recensisse!»): è solo un
resoconto stupefatto. E voglio anticipare il succo: si tratta di uno spettacolo
straordinario, diresti professionale, pur calato nella semplicità, nella
povertà di mezzi di una saletta parrocchiale. Una messa in scena spartana,
però, che ingigantisce ancora più le qualità intrinseche del lavoro, ossia una
cura della recitazione strepitosa, coinvolgente, esilarante, e una qualità
delle canzoni, e della loro interpretazione, da grande show, che dal primo all’ultimo
minuto immagineresti ideale per la televisione. Per la grande televisione. O
per il grande teatro musicale dotato di sofisticati mezzi. Uno spettacolo esaltante
e commovente.
Anzitutto ricapitoliamo i fondamentali. Mitzi prende
un gruppo di ragazzini, età 7-10 e rotti anni, a novembre. Per quasi un anno,
un giorno alla settimana, li istruisce. Sono bambini “qualsiasi”, non sono
fenomeni predestinati: «Non li scelgo né li seleziono, sia chiaro», precisa. A
questi bambini, a questo “materiale umano” (perdonate l’espressione) disomogeneo
per caratteri, talenti, personalità, timidezze, lei insegna a recitare e a
cantare nello spettacolo di cui lei stessa scrive la sceneggiatura, e Paolo Peroni (che poi è suo figlio, di
professione avvocato al Foro di Milano: vedi foto sotto, di Andrea Polo) la musica.
In questo caso si trattava di Chi ha paura della paura?, ossia una rivisitazione di Cenerentola in chiave ancora più comica
e leggera. Con qualche contaminazione e qualche libertà. Il principe del ballo
è un giuggiolone che pensa solo alle macchinine, e per cui la madre, la regina,
dispera di poter trovare una sposa che le dia l’agognato nipotino erede al
trono. Ci sono un paio di prestiti: il nano Cucciolo,
che fa da voce narrante, una sorta di trait d’union delle varie scene, lo
specchio di Biancaneve che quasi si
giustifica per aver sbagliato fiaba, e poi gattini, la leprotta, un messaggero
stanco…La paura del titolo è il sentimento negativo che Cenerentola deve
vincere per decidersi ad andare al ballo dove il principe sceglierà la sua
metà. Ma è, in generale, un invito ai bambini «a stringere in mano la propria
vita, cominciando a vincere la paura del palcoscenico», come dice Mitzi.
La sala, sabato pomeriggio 23 novembre, era colma, il
pubblico entusiasta. «Questo è uno spettacolo senza pretese, ma non è una
recita scolastica di fine anno», mi dice Mitzi. Ha ragione, come negarlo? Gli
adulti piangono commossi, a grappoli. Non è un’emozione scontata, ma indotta
dalla recitazione disinvolta dei bambini, dall’intensità emotiva delle canzoni,
davvero bellissime, che i piccoli interpreti cantano in playback (dopo averle
incise loro stessi, beninteso).
Ora però questo piccolo, straordinario lavoro sta
finendo la sua vita sulle assi del palcoscenico (domenica 24 novembre ore 16 ultima recita della produzione), dopo
essere andato in scena per tre weekend consecutivi e aver aiutato Mitzi a
raccogliere dei bei soldini per I Sempre
Vivi, un’associazione di sostegno ai malati psichici. Mitzi ha un velo di
tristezza: «I bambini si divertono un mondo, sono di una bravura emozionante,
se fosse solo per loro continuerebbero chissà quanto…e vorrei che uno sponsor
mi aiutasse a portare questa produzione su palcoscenici più grandi. Ma ho già
in mente il prossimo spettacolo su cui lavorare, per cui sono già cominciate le
iscrizioni: sarà su Pollicino e Pollicina e un orco per niente
malvagio…».
Hanno fatto una ripresa video, però. Qualcosa resterà.
Soprattutto restano, registrate, le canzoni bellissime di Peroni, cantate in modo luminoso e sicuro da questi bambini. Non
più bambini “qualsiasi”. Ma artisti senza paura.
E scusate se per una volta non ho parlato di Opera.
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